Relatore Speciale ONU critica "il solito modo di fare conservazione” in vista del Congresso mondiale sulla natura IUCN

26 agosto 2021

L’industria della conservazione ha un lato oscuro che affonda le sue radici nel razzismo e nel colonialismo, e distrugge la natura e le persone. © Survival

Questa pagina è stata creata nel 2021 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Mentre ambientalisti e leader mondiali si preparano a incontrarsi a Marsiglia, in Francia, per il Congresso mondiale sulla conservazione di IUCN che si terrà dal 3 all’11 settembre, il Relatore speciale ONU su diritti umani e ambiente ha pubblicato un documento di policy (Policy Brief) in cui sostiene con fermezza che il raggiungimento degli obiettivi ambientali “richiede un drastico allontanamento dalla ‘conservation as usual’”, ovvero dal solito modo di fare conservazione. Nella sua nota sollecita un approccio radicalmente diverso, basato sul rispetto dei diritti.

Al congresso IUCN verrà proposto un ampiamento degli attuali sforzi di conservazione, con un invito particolare a espandere le “Aree Protette” sul 30% del pianeta. Al contrario, il potente nuovo Policy Brief ONU di David Boyd critica i “fallimenti” del modello attuale e chiede “un approccio trasformativo” che metta i diritti umani e i popoli indigeni al centro della conservazione, incluso il controverso Quadro Globale per la Biodiversità post-2020.

Il suo appello sarà amplificato durante un contro-congresso che si terrà appena prima del Congresso IUCN sempre a Marsiglia, il 2 e 3 settembre. Sotto il titolo di ‘Our Land, Our Nature’, sarà un evento mondiale unico finalizzato alla decolonizzazione della conservazione, riunirà più di 30 attivisti, esperti e scienziati indigeni e non indigeni provenienti da circa 18 paesi, e offrirà una contro-narrativa al congresso “ufficiale” IUCN. A “Our Land, Our Nature” si sono già iscritte più di 2.000 persone.

Il documento di policy delle Nazioni Unite sostiene che il “cosa”, il “chi” e il “come” della conservazione devono cambiare e aggiunge che "L’attuazione di approcci di conservazione basati sui diritti è sia un obbligo legale ai sensi del diritto internazionale sia la strategia di conservazione più equa, efficace ed efficiente che abbiamo a disposizione per proteggere la biodiversità nella scala necessaria a porre fine all’attuale crisi globale”.

“Molti popoli indigeni e Survival International affermano da decenni che il modello di conservazione-fortezza promosso da grandi organizzazioni della conservazione come il WWF e la Wildlife Conservation Society (WCS) è disastroso sia per la natura sia per i popoli indigeni” ha dichiarato oggi Fiore Longo, responsabile della campagna conservazione di Survival. “Questo Policy Brief dell’esperto ONU su diritti umani e ambiente dice la stessa cosa, in modo forte e chiaro. È tempo che queste organizzazioni e i governi abbandonino il loro modello inefficace, razzista e coloniale, e che mettano i diritti umani e i popoli indigeni al centro della conservazione e della lotta contro il cambiamento climatico.”

Questi uomini Khadia sono stati sfrattati dalla loro terra dopo la sua conversione in una Riserva delle tigri. Hanno vissuto per mesi sotto teli di plastica. Se la proposta del 30% andrà avanti, altri milioni di persone subiranno lo stesso destino. © Survival International

NOTE:
“Our Land, Our Nature” si terrà il 2-3 settembre 2021 – Coco Velten, 16 rue Bernard du Bois, Marsiglia.
Registrati qui per il contro-congresso: www.ourlandournature.org

Il contro-congresso sarà seguito da una conferenza stampa il 3 settembre 2021, ore 10:00-11:00 CET.
Registrati qui per la conferenza stampa: https://it.ourlandournature.org/press

Una protesta che chiede la decolonizzazione della conservazione e la giustizia ambientale si svolgerà sempre a Marsiglia, in presenza e online, il 3 settembre 2021 dalle ore 17:00 alle 19:00. Maggiori informazioni qui: https://it.ourlandournature.org/protest

Tra i numerosi relatori ci saranno anche:

Mordecai Ogada, conservazionista keniota e autore di “The big conservation lie”, che racconterà sotterfugi e retroscena delle cosiddette “conservazioni comunitarie”.
Pranab Doley and Birendra Mahato, attivisti indigeni rispettivamente dal Parco Nazionale di Kaziranga in India e dal Parco Nazionale di Chitwan in Nepal, che denunceranno le atrocità che si celano dietro la conservazione nelle loro terre.
• Guillaume Blanc, storico dell’ambiente e autore di “L’invention du colonialisme vert. Pour en finir avec le mythe de l’Éden africain”, edito nel 2020 da Flammarion.
John Vidal, ex caporedattore ambiente per The Guardian, Regno Unito.
• Lottie Cunningham Wren (Nicaragua), avvocatessa per i diritti dei popoli indigeni e vincitrice del Right Livelihood Award 2020.
Victoria Tauli Corpuz, (Filippine), direttrice di Tebtebba ed ex Relatrice Speciale ONU per i Diritti dei Popoli Indigeni.
Blaise Mudodosi Muhigwa, avvocato e giurista ambientale congolese.
Dina Gilio-Whitaker, USA, docente di American Indian Studies alla California State University San Marco, ed educatrice indipendente di politiche ambientali dei Nativi Americani e altre questioni.
Archana Soreng (India), Segretaria Generale dello Youth Advisory Group on Climate Change dell’ONU.
Juan Pablo Gutiérrez (Colombia), difensore dei diritti umani, fotografo e delegato internazionale di ONIC, Organización Nacional Indígena de Colombia.

Altri punti salienti del Policy Brief delle Nazioni Unite:

David Boyd afferma che “gli Stati devono migliorare la bozza del Quadro Globale per la Biodiversità post-2020 rendendo obbligatori approcci basati sul rispetto dei diritti in tutte le azioni volte a conservare, ripristinare e condividere i benefici della biodiversità, incluso il finanziamento della conservazione”.

La sua condanna è schiacciante verso quelli che definisce i “modesti miglioramenti” al Global Biodiversity Framework post-2020 che, sottolinea Boyd, “manca ancora di menzionare i diritti umani, non richiede la due diligence sui diritti umani nella pianificazione e nel finanziamento della conservazione, manca di chiedere il riconoscimento dei diritti alla natura dei popoli indigeni e di altri titolari di diritti rurali, e non include alcun obiettivo misurabile per monitorare l’integrazione degli approcci basati sui diritti”.

La Policy Brief chiarisce che la rapida espansione delle Aree Protette sul 30% delle terre e delle acque della Terra non deve essere raggiunta a spese di ulteriori violazioni dei diritti umani contro i popoli indigeni e di altre popolazioni rurali.

Questi individui e gruppi “devono essere riconosciuti come partner essenziali nella protezione e nel ripristino della natura”, afferma Boyd. "I loro diritti umani, territoriali e di uso, le loro conoscenze e i loro contributi alla conservazione devono essere riconosciuti, rispettati e sostenuti.”

Boyd mette in guardia contro gli approcci tipici della “conservazione-fortezza” volti a ripristinare una “natura incontaminata” (pristine wilderness) libera da abitanti umani. Questo modello, egli spiega, si basa su convinzioni errate e ha avuto un impatto devastante sui diritti umani delle comunità che vivono nelle aree interessate, inclusi i popoli indigeni e altri abitanti rurali.

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