Il WWF vince il 'Greenwashing Award' 2017 di Survival International

2 maggio 2017

Per le tribù della foresta pluviale, le vaste operazioni di taglio del legno rappresentano da molti anni un gravissimo problema. © Margaret Wilson/Survival

Questa pagina è stata creata nel 2017 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.

Il WWF ha vinto il “Greenwashing Award” di Survival International per avere stretto partnership con sette compagnie che stanno disboscando quasi 4 milioni di ettari di foresta appartenenti ai ‘Pigmei’ Baka e Bayaka, nell’Africa Centrale.

Tra queste, il controverso gruppo italo-camerunense SEFAC (direttamente collegato a Vasto Legno).

Il premio viene assegnato a compagnie o organizzazioni che spacciano la distruzione delle foreste dei popoli indigeni come iniziative di conservazione.

La Wildlife Conservation Society (WCS), che ha sede nello zoo del Bronx di New York, è stata nominata per il secondo posto, anch’essa a causa delle sue attività nel bacino del Congo. WCS ha stretto partnership con due compagnie di taglio del legno che non avevano ottenuto il consenso dei popoli indigeni a operare nelle loro terre.

Il WWF descrive le compagnie di taglio del legname come “operatori forestali”. Secondo l’organizzazione, le sue partnership con queste aziende sono dirette a “promuovere una gestione sostenibile della foresta”.

In realtà, tuttavia, tutti i partner del WWF sono stati accusati di taglio illegale e nessuno di loro ha ottenuto il consenso dei “Pigmei” Baka e Bayaka. Un recente studio ha anche rivelato che approcci come quello del WWF non hanno rallentato la distruzione della foresta pluviale del bacino del Congo.

Questa foto è stata scattata dai “Pigmei” Baka alla fine del 2016 per denunciare di aver individuato dei dipendenti di Rougier che tagliavano alberi illegalmente nella loro terra. © Survival

In un rapporto del 2011, la ONG ambientalista Global Witness ha dichiarato che le partnership “permettono ad alcune… compagnie partner di godere dei benefici derivanti dall’associazione con il WWF e con il suo emblematico marchio del Panda, mentre continuano a tagliare alberi in maniera insostenibile, a convertire le foreste in piantagioni, o a commerciare legname ottenuto illegalmente.”

Le partnership violano anche la politica del WWF stesso sui popoli indigeni, che prevede che tutti i progetti siano intrapresi con il pieno consenso delle comunità indigene.

I Baka e altre tribù sono stati sfrattati da vaste aree delle loro terre ancestrali e oggi sono costretti a vivere ai margini delle strade. © Survival International

“È la foresta dei Baka, che abbiamo conservato per lungo tempo. Sono i taglialegna che portano armi e i loro fratelli che cacciano tutti gli animali” ha dichiarato un uomo baka.

Una donna baka ha aggiunto: “Dobbiamo lottare contro tutto questo, perché la nostra foresta viene completamente distrutta.”

“I sostenitori del WWF si sorprenderanno nell’apprendere che l’organizzazione lavora così a stretto contatto con i taglialegna che stanno distruggendo una delle più grandi foreste pluviali della Terra” ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival. “Le tribù del bacino del Congo, i suoi custodi originali, vengono messe ai margini e le loro società distrutte. In tutta l’Asia e l’Africa le grandi organizzazioni della conservazione stringono partnership con l’industria e il turismo e distruggono i migliori alleati dell’ambiente. È una truffa e sta danneggiando la conservazione. Forse questo ‘premio’ incoraggerà qualcuno all’interno del WWF e di WCS a esercitare pressioni sulle loro stesse organizzazioni affinché si ravvedano. È arrivato il momento di ascoltare i conservazionisti indigeni.”

Note ai redattori: il WWF ha stretto partnership con i gruppi: Bolloré, Danzer, Decolvenaere, Pasquet, Rougier, SEFAC e Vicwood. WCS invece ha stretto partnership con i gruppi Danzer e Olam. Clicca qui per leggere il rapporto riassuntivo di Survival su queste partnership.

“Pigmei” è un termine collettivo usato per indicare diversi popoli cacciatori-raccoglitori del bacino del Congo e di altre regioni dell’Africa centrale. Il termine è considerato dispregiativo e quindi evitato da alcuni indigeni, ma allo stesso tempo viene utilizzato da altri come il nome più facile e conveniente per riferirsi a se stessi.

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