Giornata Mondiale della Terra: otto prove che i popoli indigeni sono i migliori conservazionisti
21 aprile 2017
Questa pagina è stata creata nel 2017 e potrebbe contenere un linguaggio ormai obsoleto.
In occasione della Giornata Mondiale della Terra che si celebra il 22 aprile, Survival International racconta alcune storie sorprendenti che dimostrano come i popoli indigeni siano i migliori conservazionisti e custodi del mondo naturale.
1. I “Pigmei” Baka hanno più di 15 parole per definire gli elefanti
I Baka conoscono così profondamente gli elefanti da utilizzare diverse parole per definirli a seconda del sesso, dell’età e persino del temperamento.
Studi hanno dimostrato che in molte aree i Baka convivono con alte densità di specie in pericolo. “Sappiamo quando e dove i bracconieri sono nella foresta, ma nessuno ci ascolterà” ha detto a Survival un uomo Baka. Invece di combattere le cause della distruzione ambientale, i progetti di conservazione espongono i popoli come i Baka a violenze e pestaggi, torture e morte.
2. I Kogi hanno contribuito a risanare un’area di terra un tempo degradata
Nel 2012 i Kogi delle montagne colombiane della Sierra Nevada de Santa Marta hanno ottenuto una porzione di terra – una piccola area del loro territorio ancestrale – con l’aiuto di un piccolo gruppo di conservazionisti. Da allora, i conservazionisti riferiscono che la vegetazione ha ripreso a crescere, le acque sono state decontaminate e i laghi pieni di rifiuti sono stati trasformati in “splendide lagune di acqua dolce”.
3. I Baiga hanno risanato oltre 600 ettari di foresta intorno a un unico villaggio
Nel villaggio dei Dhaba, nell’India centrale, gli abitanti baiga erano preoccupati perché il Dipartimento locale alle foreste stava abbattendo troppi alberi, apparentemente per fermare la diffusione di un parassita. Gli indigeni hanno protestato e sono intervenuti facendo da scudo tra i funzionari forestali e gli alberi.
La loro protesta ha avuto successo e oggi diverse specie di alberi intorno al villaggio – come il char, mahuli e il bambù – si sono riprese. Gli stessi Baiga hanno piantato molti alberi.
4. Gli sciamani Tukano stabiliscono quote di caccia per la tribù
Un importante studio antropologico ha evidenziato che gli sciamani Tukano, in Colombia, hanno un ruolo attivo nel controllare le attività di caccia della loro tribù. Tengono conto di come vengono uccisi molti animali, e proibiscono la caccia in alcune aree dove pensano che la densità della popolazione faunistica stia diminuendo.
5. I Soliga controllano la diffusione di piante invasive con l’utilizzo del fuoco
I Soliga dell’India accendevano piccoli fuochi per ripulire la terra e prepararla all’agricoltura sostenibile, ma da quando questa pratica è stata vietata nel nome della conservazione gli ecosistemi locali si sono deteriorati a causa delle diffusione di un’erba selvatica invasiva chiamata lantana. “Il Dipartimento alle Foreste non ha le conoscenze necessarie alla conservazione. Noi abbiamo conservato la foresta per molti anni. Loro non sanno come proteggere la nostra foresta” ha detto un uomo soliga.
6. Per mantenere l’equilibrio dell’ecosistema, gli Awà non cacciano alcune specie
Gli Awà del Brasile vivono di caccia e raccolta nella foresta dell’Amazzonia nordorientale. Tuttavia, per i cacciatori Awà uccidere alcuni animali – come ad esempio, le aquile arpie in pericolo, i colibrì e i capibara – è un tabù. Gli Awà hanno una profonda conoscenza dell’ambiente e di quale ruolo hanno al suo interno.
7. I territori indigeni costituiscono la migliore barriera contro la deforestazione in Amazzonia
Guardate questa immagine satellitare. E questa. E anche questa. Sono tutte immagini di territori indigeni protetti all’interno dell’Amazzonia brasiliana: isole di verde in un mare di deforestazione. Proteggendo i diritti territoriali indigeni proteggiamo anche anche la foresta; è semplice.
8. Con i loro orti, gli Orang Asli forniscono habitat e cibo per gli animali
I frutteti degli Orang Asli, nella riserva di Krau in Malesia, attirano nell’area molti animali, tra cui anche grandi mammiferi. Questi orti forniscono cibo e costituiscono anche una delle principali modalità di diffusione dei semi, colmando un ruolo che un tempo era di elefanti e rinoceronti, ora scomparsi dall’area. L’agricoltura indigena su piccola scala aiuta spesso a incrementare la biodiversità.
“I popoli indigeni hanno gestito i loro ambienti per millenni e innumerevoli prove dimostrano che sanno prendersi cura dei loro ambienti meglio di chiunque altro” ha affermato il Direttore generale di Survival International Stephen Corry. “Tutto questo non ha nulla a che fare con il mito del buon selvaggio, si tratta di dati scientifici. Per aiutare davvero l’ambiente, dovrebbero essere i popoli indigeni a guidare il movimento ambientalista. Se vogliamo salvare la foresta pluviale, ad esempio, dobbiamo lottare per garantire che rimanga nelle mani delle tribù che la abitano.”