Arrivano i nostri!
There you go!
Il governo etiope, principale beneficiario degli aiuti americani e britannici nonché partner "prioritario" della Cooperazione italiana, sta reinsediando con la forza 200.000 indigeni fino ad oggi autosufficienti, tra cui i Mursi, i Kwegu e i Bodi, lasciandoli a migliaia senza terra, senza bestiame né mezzi di sostentamento. Impossibilitati a continuare a mantenersi da soli, dicono di non poter far altro che “aspettare di morire”. Secondo il Primo Ministro, questo progetto, in un paese famoso per le sue carestie, servirà a dare alle tribù “una vita moderna”.
I presunti destinatari di questo “sviluppo” subiscono arresti, pestaggi e stupri. I loro granai vengono distrutti nel tentativo di costringerli a rinunciare alle loro terre e ai loro stili di vita. Il risultato sarà un’autentica catastrofe umanitaria.
Felici e prosperi
I popoli indigeni che vivono nelle loro terre sono generalmente prosperi. Studi recenti dimostrano che i miliardari più ricchi del mondo non sono più felici della media dei pastori masai. Tuttavia, molti governi, che spesso ambiscono alle loro terre, considerano gli autosufficienti stili di vita dei popoli tribali arretrati e imbarazzanti. Gli indigeni vengono costretti ad adeguarsi alla nozione altrui di progresso, trasformandosi in agricoltori stanziali e piegandosi alle logiche dell’economia di mercato.
I Dongria Kondh dell’India coltivano oltre cento prodotti diversi e raccolgono quasi duecento tipi differenti di alimenti selvatici, che garantiscono loro un’alimentazione ricca per tutto l’anno, anche durante i periodi di siccità. Sino ad oggi hanno respinto ogni tentativo di assimilazione nella società dominante.
Costretti a cambiare
Alcune tribù, come i Penan del Borneo malese, sono confinate in insediamenti alieni e obbligate a praticare l’agricoltura “moderna” pur avendo una conoscenza enciclopedica della biodiversità delle loro foreste e dei loro ambienti, che le sostengono da generazioni. Sono sfrattate per far spazio a dighe gigantesche con la scusa e nella convinzione che il passaggio da un’economia di caccia e raccolta a una basata sull’agricoltura significhi “progresso”. "Gli stranieri che vengono qui sostengono sempre di portare il progresso. Ma tutto ciò che portano sono solo vane promesse. Stiamo lottando per la nostra terra. È l’unica cosa di cui abbiamo realmente bisogno."Conseguenze devastanti
I popoli tribali costretti ad abbandonare le loro pratiche tradizionali di coltivazione, caccia e raccolta, perdono anche la loro autosufficienza e finiscono in balìa di un’economia di mercato che non comprendono e che spesso finisce per sfruttarli.
Come nel filmato “Arrivano i nostri!”, le tribù che hanno subito questo “sviluppo” passano dall’essere comunità floride e indipendenti, padrone delle loro terre, al vivere ai margini della società. Vittime di continue pressioni e di un processo di sradicamento dei loro stili di vita, spesso le società tribali implodono tra altissimi tassi di tossicodipendenza, suicidio e malattie croniche.
Terra e libertà di scelta
Non è che gli indigeni non vogliano cambiare: come tutti i popoli del pianeta, sono in continua evoluzione e mutamento. Ma anziché subirlo per mano di estranei, devono poter scegliere e controllare la direzione di questo cambiamento. Il fattore più importante per il benessere dei popoli tribali è il rispetto dei loro diritti territoriali. Garantirgli sicurezza nella loro terra, significa metterli nella condizione migliore per decidere liberamente dei loro stili di vita e del tipo di “sviluppo” che desiderano. Se desideri una copia del libretto Arrivano i nostri!, clicca qui.Iscriviti alla newsletter
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