© Victor Englebert/Survival

Popoli indigeni del Brasile

Oggi, in Brasile, vivono circa 305 popoli indigeni per un totale di 1,7 milioni di persone, lo 0,8% della popolazione del Paese.

Dalla foresta pluviale amazzonica alla foresta atlantica e alle aree urbane, vivono in tutto il paese, con molti stili di vita diversi.
Molti di loro sono minacciati dall’invasione e dal furto delle loro terre, da cui dipendono per la loro sopravvivenza.

Popoli indigeni del Brasile

Il governo ha riconosciuto ai popoli indigeni oltre 600 territori, pari a circa il 13% del suolo brasiliano. Quasi tutti questi territori riservati (il 98,5%) si trovano in Amazzonia e sono abitati da circa la metà degli indigeni del Paese. L’altra metà vive al di fuori dell’area amazzonica, dove si trova solo l’1,5% delle terre riconosciute come aree indigene.

Gli Yanomami si dipingono il volto con tinture naturali. Usano il jenipapo per il nero e l’urucum, o annatto, per il rosso. © Fiona Watson/Survival

I popoli che vivono nelle savane e nelle foreste atlantiche del sud, come i Guarani e i Kaingang, e nell’arido entroterra nord orientale, come i Pataxo Hã Hã Hãe e i Tupinambá, sono stati tra i primi a entrare in contatto con i coloni europei che sbarcarono in Brasile nel 1500.

Nonostante i secoli di contatto con le società limitrofe in continua espansione, nella maggior parte dei casi questi popoli hanno mantenuto con fierezza la loro lingua e i loro costumi, a dispetto del furto e dell’occupazione massiccia delle loro terre.

Il popolo più numeroso del Brasile è oggi quello dei Guarani, tuttavia, del territorio ancestrale gli è rimasto ben poco: nel corso degli ultimi 100 anni, i Guarani sono stati derubati di gran parte della loro terra per far spazio ad una vasta rete di allevamenti di bestiame e piantagioni di soia e canna da zucchero. Oggi molte comunità vivono ammassate in riserve sovraffollate, mentre altre sono accampate sotto teloni di plastica sui cigli delle superstrade.

Un tempo eravamo liberi. Ora non lo siamo più. I nostri giovani pensano che non gli sia rimasto più nulla. Si siedono e pensano, si perdono, e poi decidono di togliersi la vita.
Rosalino Ortiz, Guarani

La più piccola tribù amazzonica era composta da un solo uomo, che viveva in questa casa nel Brasile occidentale. Quando è morto, nel 2022, il genocidio del suo popolo si è completato. © Survival

Gli Yanomami sono il popolo con il territorio più vasto. I 30.000 membri vivono in relativo isolamento e occupano 9,4 milioni di ettari nell’Amazzonia settentrionale, un’area leggermente più grande dell’Ungheria.

La tribù più numerosa dell’Amazzonia brasiliana è quella dei Tikuna. Tra le più piccole vi sono quella degli Akuntsu, composta da sole 3 donne sopravvissute a decenni di massacri commessi da allevatori e altri esterni, e dei Piripkura incontattati, minacciati dai taglialegna illegali. Il territorio dei Piripkura non è ancora stato demarcato dal governo, in violazione della legge brasiliana e internazionale.

Incontattati

Una famiglia di indigeni incontattati nell’Amazzonia brasiliana occidentale. © Gleison Miranda/FUNAI/Survival

In Brasile vivono più popoli incontattati che in qualsiasi altro luogo del pianeta. Oggi si ritiene che oltre 100 di questi gruppi si trovino in Amazzonia. Alcuni sono composti da diverse centinaia di individui e vivono in remote aree di confine nello stato di Acre o in territori protetti come la Valle Javari, al confine con il Perù. Altri sono gruppi sparuti: i sopravvissuti di tribù quasi completamente sterminate dalle conseguenze del boom della gomma e dell’espansione agricola del secolo scorso. Molti sono in fuga costante dai taglialegna e dagli allevatori che invadono la loro terra, come accade ad esempio ai nomadi Kawahiva, di cui restano poche decine di persone.

Con il crescere della pressione per lo sfruttamento delle loro terre, tutti i popoli incontattati si ritrovano esposti ad attacchi violenti (molto frequenti) e alle malattie provenienti dall’esterno, come il morbillo e l’influenza, verso cui non hanno difese immunitarie.

Mezzi di sostentamento

La maggior parte delle tribù vive iesclusivamente delle foreste, delle savane e dei fiumi, e pratica un mix di caccia, raccolta e pesca. Coltivano piante per nutrirsi e curarsi, ma anche per costruire case e oggetti di uso quotidiano.

Noi indigeni siamo come le piante. Come possiamo vivere senza la nostra terra?
Marta Guarani

Una famiglia Zo'è si rilassa in un’amaca di fibra di noce brasiliana. © Fiona Watson/Survival

Negli orti vengono coltivati alimenti di base come la manioca, le patate dolci e il mais, e banane e ananas, mentre gli animali più cacciati sono pecari, tapiri, scimmie e uccelli della famiglia dei cracidi, come l’hocco.

Per catturare le loro prede alcuni popoli, come i Matis, usano lunghe cerbottane e frecce intrise di veleno. La maggior parte degli indigeni usa archi e frecce, ma alcuni utilizzano anche i fucili. Periodicamente vengono raccolte nocciole, bacche e frutti come l’açai e la pupunha (il frutto della palma da pesca), ed è particolarmente apprezzato il miele prodotto dalle api.

Il pesce è un alimento importante, soprattutto in Amazzonia. Per stordire e catturare i pesci, molti popoli indigeni usano un veleno chiamato timbó. 

Gli Enawene Nawe, che non mangiano carne rossa, sono famosi per le sofisticate dighe di tronchi chiamate “waitiwina” che ogni anno costruiscono lungo il corso di piccoli fiumi per intrappolare e affumicare grandi quantità di pesce. La cerimonia dello Yãkwa, collegata proprio a queste tecniche di pesca, è stata dichiarata patrimonio culturale nazionale del Brasile.

Durante la stagione della pesca, gli uomini enawene nawe costruiscono dighe di tronchi per pescare. © Fiona Watson/Survival

Alcuni popoli – tra cui gli Awá, i Maku nel nord-ovest e alcune tribù incontattate – sono cacciatori raccoglitori nomadi. Vivono in piccoli gruppi famigliari estesi e conservano pochi beni, in modo da potersi muovere rapidamente attraverso la foresta. In poche ore sono in grado di costruire un rifugio utilizzando rami di piccoli alberi e foglie di palma.

Come tutti i popoli indigeni, i cacciatori-raccoglitori nomadi hanno mappe mentali incredibilmente dettagliate del territorio e della sua topografia, della fauna e della flora, e dei luoghi migliori per la caccia. A volte gli Awá cacciano di notte utilizzando torce di resina dell’albero maçaranduba (Manilkara huberi).

Se i miei bambini hanno fame mi basta andare nella foresta e procurargli del cibo.
Pecari Awá

Conoscenza etnobotanica e ruolo nella conservazione

I popoli indigeni hanno una conoscenza impareggiabile delle loro piante e animali, e rivestono un ruolo di vitale importanza nella conservazione della biodiversità. Sono i migliori custodi dei luoghi più biodiversi del Pianeta.

Secondo alcuni studi scientifici, le terre indigene costituiscono la barriera più importante alla deforestazione dell’Amazzonia.

Visione satellitare del Territorio Indigeno di Arariboia, in Amazzonia, un’isola di verde circondata dalla deforestazione. © Survival

In alcuni stati, come il Maranhão, gli ultimi lembi di foresta rimasti si trovano solo nei territori indigeni (ad esempio nel territorio awá) ma sono sotto la forte pressione degli esterni.

Il ruolo dei popoli indigeni nella conservazione della biodiversità del cerrado (o savana) e della foresta amazzonica è vitale.

Perché ci vuole così tanto per capire che se feriamo la natura, feriamo noi stessi? Non stiamo guardando il mondo dall’esterno. Non ne siamo separati.
Davi Kopenawa Yanomami

Davi Kopenawa, sciamano e portavoce yanomami. © Fiona Watson/Survival

Gli Yanomami coltivano 500 varietà di piante diverse per nutrirsi, curarsi, costruire le proprie abitazioni e soddisfare altre necessità. Solamente per avvelenare e catturare i pesci utilizzano nove piante diverse. I Tukano, invece, conoscono 137 varietà di manioca.

I Satere Mawe conoscevano il guaraná e le sue proprietà da molto prima che venisse commercializzato. Ne tostavano i semi, li macinavano fino a ottenere una polvere da mescolare con l’acqua, e bevevano la bevanza leggermente frizzante che ne ricavavano prima di partire per la caccia. Il guaraná permetteva loro di non sentire la fame e garantirsi energia sufficiente per continuare a cacciare.

Molti popoli indigeni del Brasile –- ad esempio quelli che vivono nel Parco dello Xingu, gli Yanomami e gli Enawene Nawe – vivono nelle maloca, grandi abitazioni comuni per famiglie allargate: appendono le loro amache alle travi del tetto e condividono il cibo intorno ai focolari famigliari.

Gli Yanomami vivono in grandi case comuni. © Dennison Berwick/Survival

Mondi spirituali e sciamanesimo

Come i popoli indigeni di tutto il mondo, anche gli indigeni del Brasile hanno legami spirituali molto profondi con la loro terra. Una relazione che si riflette nelle storie tramandate oralmente, nelle cosmogonie, nei miti e nei rituali.

Alcune tribù assumono droghe allucinogene per viaggiare verso altri mondi, per mettersi in contatto con gli spiriti e curare le malattie. Questo processo non è casuale né ludico, ma richiede anni di addestramento e iniziazione.

Per invocare gli spiriti sciamanici, detti xapiri, gli sciamani yanomami inalano un tabacco allucinogeno chiamato yakoana o yopo. Gli xapiri hanno un ruolo cruciale nelle cerimonie di guarigione e durante il reahu, un rituale funebre durante il quale le comunità si riuniscono per consumare le ceneri dei defunti.

Sono uno sciamano della foresta e lavoro con le forze della natura, non con quelle del denaro o delle armi. Il ruolo degli sciamani è molto importante, curano i malati e studiano per conoscere il mondo.
Davi Kopenawa Yanomami

Durante le sessioni di guarigione, gli sciamani di popoli come i Kaxinawá e gli Ashaninka bevono la ayahuasca, una bevanda ricavata dalla vite caapi. Altri, come gli Arawete e gli Akuntsu, fumano o inalano tabacco.

Altri ancora, come gli Awá, non assumono droghe o sostanze stimolanti, ma entrano in uno stato di trance grazie al ritmo della danza e al battito delle mani.  In questo modo raggiungono l’iwa, la dimora degli spiriti, dove incontrano le anime degli antenati e gli spiriti della foresta, i karawara.

Uomini Awá accolgono gli spiriti karawara. © Toby Nicholas/Survival

Spesso il passaggio dalla giovinezza all’età adulta è segnato da cerimonie e isolamento. Quando una ragazza Tikuna ha la sua prima mestruazione viene dipinta di nero con tintura di genipapo e adornata con piume di aquila. La ragazza canta, danza e salta sul fuoco per quattro giorni senza quasi dormire; trascorso questo tempo va in isolamento per diversi mesi, durante i quali limpara la storia del suo popolo e viene istruita sulle sue future responsabilità.

I popoli dello Xingu sono famosi per le cerimonie funebri, durante le quali onorano i capi defunti, rappresentati da tronchi di legno decorati chiamati kwarup.

Storia

La storia dei popoli indigeni del Brasile è stata segnata da brutalità, schiavitù, violenza, malattie e genocidio.

Quando arrivarono i primi coloni europei, nel 1500, l’attuale Brasile era abitato da circa 11 milioni di indigeni suddivisi in circa 2000 diverse tribù. In un solo secolo dal primo contatto, fu sterminato il 90% degli indigeni, principalmente atraverso le malattie importate dai coloni, come influenza, morbillo e vaiolo. Nei secoli che seguirono, altre migliaia di indigeni morirono schiavi nelle piantagioni di gomma e canna da zucchero.

Sciamano Umutima nel 1957. Nel 1969 gran parte degli Umutima era ormai stata sterminata da un’epidemia di influenza. © José Idoyaga/Survival

Durante gli anni ’50 la popolazione diminuì così tanto che Darcy Ribeiro, un importante senatore e antropologo, stimò che entro il 1980 non sarebbe rimasto nessun superstite. È stato calcolato che nel corso dell’ultimo secolo si sia estinta in media una tribù all’anno.

Nel 1967 il procuratore federale Jader Figueiredo pubblicò un rapporto di 7000 pagine che raccoglieva migliaia di atrocità e crimini commessi contro i popoli indigeni: dall’omicidio, al furto di terra alla schiavitù.

Nel caso tristemente noto come il “massacro dell’undicesimo parallelo”, un barone della gomma ordinò ai suoi uomini di lanciare candelotti di dinamite sopra un villaggio di Cinta Larga. I pochi superstiti furono uccisi a mano dai lavoratori della gomma, che entrarono nel villaggio e li attaccarono con i machete.

Il rapporto arrivò sui giornali di tutto il mondo e portò allo scioglimento del Servizio governativo per la Protezione dell’Indio (SPI), sostituito dal Dipartimento governativo agli Affari Indigeni (FUNAI), attivo ancora oggi.

Survival International fu fondata nel 1969 proprio in risposta a un articolo sul genocidio degli indigeni del Brasile scritto dal giornalista Norman Lewis e pubblicato sul giornale britannico Sunday Times.

Il numero della popolazione indigena ricominciò gradualmente a crescere. Negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, tuttavia, decine di migliaia di indigeni persero le loro terre e le loro vite quando i militari decisero di aprire l’Amazzonia allo “sviluppo”, portando una nuova ondata di dighe idroelettriche, allevamenti di bestiame e strade. Dozzine di tribù scomparvero per sempre.

Auré and Aurá, ultimi sopravvissuti di una tribù che sembra sia stata spazzata via in modo violento. Auré è morto e Aurá è rimasto l’ultimo a parlare la sua lingua. © Toby Nicholas/Survival

Nel 1985, dopo ventidue anni, si concluse la dittatura militare e fu redatta una nuova costituzione. Gli indigeni e i loro sostenitori fecero forti pressioni per vedersi riconoscere più diritti.

Molti obiettivi sono stati raggiunti, ma ancora oggi i popoli indigeni non godono del diritto alla proprietà collettiva della terra che gli è riconosciuto dalla legge internazionale.

Questa è la mia vita, la mia anima. Se mi portate via la terra, mi prendete la vita.
Marcos Veron, Guarani

I pericoli e le sfide di oggi

Negli oltre 500 anni trascorsi da quando gli Europei arrivarono in Brasile, i popoli indigeni del Paese hanno dovuto affrantare razzismo, furto di gran parte delle loro terre, integrazione forzata e genocidio su larga scala. 

Tra il 2019 e il 2023, il governo di Jair Bolsonaro ha cercato di smantellare i diritti dei popoli indigeni indebolendo drasticamente il Dipartimento agli Affari Indigeni (FUNAI), e incentivando il furto dei territori indigeni da parte dell’agrobusiness e delle industrie estrattive, inclusa quella mineraria.

Senza dubbio, questo è uno dei momenti peggiori per i popoli indigeni dai tempi della dittatura militare.
Beto Marubo, leader indigeno a proposito del mandato Bolsonaro

I discorsi e le azioni anti-indigene e genocide di Bolsonaro hanno portato a un catastrofico incremento della frequenza e della gravità degli attacchi contro le comunità indigene, e persino dell’assassinio degli indigeni che lottano per le loro terre e la loro vita.

L’attuale governo del Presidente Lula ha promesso di sostenere i popoli indigeni e i loro diritti territoriali. L’amministrazione Lula ha creato il Ministero per i Popoli indigeni e alcuni indigeni hanno ottenuto importanti incarichi governativi.

Ma la lotta indigena continua: i loro territori continuano ad essere invasi e distrutti a livelli allarmanti e il governo non sta mappando né proteggendo le terre non ancora ufficialmente riconosciute come indigene. La lobby agroalimentare al Congresso rimane potente e avida di lucrare su terre e risorse indigene. 

In tutto il Brasile, i popoli indigeni – tribù incontattate incluse – continuano a resistere nella lotta per proteggere e recuperare i loro territori.

Migliaia di indigeni da tutto il Brasile protestano all’accampamento “Luta Pela Vida” in Brasilia, 2021. © Amanda Rocha/Survival

Resistenza e organizzazioni indigene

Giorno dopo giorno, i popoli indigeni del Brasile continuano a fare pressione per la protezione delle loro terre, per il rispetto dei loro diritti, così come sancito dalla legge nazionale e internazionale, e per sistemi educativi e sanitari che operino in conformità con le loro tradizioni e culture.

Oggi in Brasile ci sono più di 200 organizzazioni indigene in prima linea nella lotta per difendere i diritti faticosamente conquistati. Tra queste, l’Associazione dei Popoli Indigeni del Brasile (APIB), il Coordinamento delle Organizzazioni Indigene dell’Amazzonia Brasiliana (COIAB), organizzazioni locali e regionali come l’Unione dei Popoli Indigeni della Valle Javari (UNIVAJA), Aty Guasu, l’Associazione dei Guarani Kaiowá, e molte altre. 

In tutto il paese operano anche molte iniziative indigene comunitarie, come quella dei Guardiani dell'Amazzonia, gruppi che mettono a rischio la propria vita per fermare la distruzione delle loro foreste e di quelle dei loro parenti e vicini incontattati.

Molti popoli indigeni gestiscono progetti, come scuole bilingue e musei, banche dei semi per la sicurezza alimentare e la diversità, corsi di formazione per registi indigeni, e reti di comunicazione come Mídia Indígena, che permettono la condivisione di notizie e informazioni tra i vari popoli indigeni e anche verso il pubblico nazionale e internazionale. 

Per decenni i popoli indigeni hanno organizzato proteste dentro e intorno i loro territori e regioni, fino a Brasilia, per consegnare le loro richieste a governi e compagnie che violano i loro diritti. Il 31 gennaio 2019, i popoli indigeni del Brasile hanno guidato la più grande protesta internazionale mai registrata per i loro diritti: per la resistenza indigena è stato un momento storico. La lotta continuerà finché tutti i territori indigeni non saranno stati pienamente protetti e gli indigeni non potranno sopravvivere, prosperare e vivere nel modo che desiderano.

Nonostante tutte le invasioni, la rabbia e la tristezza che proviamo, nonostante le malattie trasmesse dagli invasori ai nostri parenti incontattati, noi continueremo a resistere.
Tainaky Tenetehar, Guajajara

Come contribuisce Survival?

Survival lotta a fianco dei popoli indigeni del Brasile per il riconoscimento dei loro diritti territoriali sin dal 1969.

Lottiamo per la protezione dei territori dei Kawahiva, degli Awá, e di altri popoli incontattati la cui sopravvivenza è strettamente legata alle loro foreste. Lottiamo per la rimozione di tutti gli invasori dal Territorio Yanomami, e per la restituzione delle terre sottratte dall’agrobusiness ai Guarani e ad altri popoli indigeni del Paese.

Per anni, Damiana Cavanha ha guidato la sua comunità guarani nella lotta per la restituzione della terra ancestrale. Damiana è morta nel 2023. © Fiona Watson/Survival

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Secondo le stime ONU, i popoli indigeni oggi contano 476 milioni di persone in 90 nazioni diverse. Tra loro, circa 150 milioni vivono in società tribali. Scopri di più su questi popoli e sulle loro lotte: iscriviti alla nostra newsletter per ricevere aggiornamenti periodici.

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