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AGGIORNAMENTO

Il 19 dicembre 2022, durante la COP15 di Montreal, è stato adottato ufficialmente il Quadro Globale per la Biodiversità – che include l’obiettivo di trasformare il 30% del pianeta in Aree Protette. Leggi il comunicato stampa di Survival International sul tema e segui la nostra campagna per saperne di più.

Durante l’ultimo vertice della Convenzione sulla diversità biologica (Convention on Biological Diversity - CBD), i leader mondiali si sono accordati per trasformare il 30% della Terra in “Aree Protette” entro il 2030.

Secondo le grandi ONG della conservazione, questa conversione mitigherà i cambiamenti climatici, ridurrà la perdita della fauna selvatica, aumenterà la biodiversità e di conseguenza salverà il nostro ambiente. Ma si sbagliano.

Le Aree Protette non salveranno il nostro pianeta. Al contrario, aumenteranno la sofferenza umana e in tal modo accelereranno la distruzione degli spazi che pretendono di proteggere, perché l’opposizione locale crescerà. Le Aree Protette non hanno alcun impatto sui cambiamenti climatici, ed è stato dimostrato che sono generalmente mediocri nel prevenire la perdita di vita selvatica. 

È fondamentale che vengano proposte soluzioni concrete per affrontare questi problemi urgenti e che la causa reale – il crescente sovra-consumo, trainato dal Nord del mondo – sia adeguatamente riconosciuta e discussa. Ma è improbabile che ciò accada perché gli interessi che dipendono dai modelli di consumo esistenti per mantenere i benefici acquisiti, sono troppi.

Se il 30% del pianeta sarà “protetto”, chi ne soffrirà? Non saranno certamente coloro che sostanzialmente provocano la crisi climatica, bensì gli indigeni e altri popoli locali del Sud del mondo, che non contribuiscono affatto o ben poco alla distruzione dell’ambiente. Cacciarli dalla loro terra per creare Aree Protette non aiuterà il clima: i popoli indigeni sono i migliori custodi del mondo naturale e una parte essenziale della diversità umana, che è una delle chiavi per proteggere la biodiversità.

Questi uomini Khadia sono stati cacciati dalla loro terra, trasformata in una riserva delle tigri. Per mesi hanno vissuto sotto teli di plastica. Con l’applicazione dei piani per il 30%, milioni di persone rischiano di subire lo stesso destino. © Survival

La verità sulle Aree Protette

In molte parti del mondo, una “Area Protetta” (PA) è un luogo in cui alle persone che per generazioni l’hanno abitato e considerato casa loro, improvvisamente non viene più permesso di viverci o di usarne l’ambiente naturale per sfamare le proprie famiglie, per raccogliere piante medicinali o per frequentare i luoghi sacri. Il modello è quello che ispirò la creazione dei primi parchi nazionali del mondo, negli USA del XIX secolo, realizzati nelle terre sottratte ai Nativi Americani. Molti parchi statunitensi ridussero in poveri senza terra proprio i popoli che avevano letteralmente creato e alimentato quei paesaggi ricchi di “wilderness”.

Il fenomeno continua a perpetuarsi oggi in Africa e in alcune regioni dell’Asia ai danni di popoli indigeni e di altre comunità. I locali vengono cacciati con la forza, la coercizione o la corruzione. Se cercano di cacciare per nutrire le loro famiglie o semplicemente di accedere alle loro terre ancestrali, vengono picchiati, torturati e abusati dai guardaparco. I migliori custodi della terra, un tempo autosufficienti e con una impronta ecologica più bassa di chiunque di noi, vengono diseredati e impoveriti, e spesso finiscono per aggiungersi alle fila del sovraffollamento urbano. Solitamente questi progetti sono finanziati e gestiti da ONG della conservazione occidentali. Una volta liberato il campo dai locali, arrivano i turisti, le aziende estrattive e altri. Per queste ragioni, l’opposizione locale alle Aree Protette è in crescita.

"Se ci portano via la giungla, come sopravviveremo?"
Kunni Bai, una donna Baiga, denuncia i tentativi di sfrattare il suo popolo nel nome della "conservazione".

Perché dovremmo opporci?

Raddoppiare le Aree Protette per espanderle sul 30% del pianeta garantirà un peggioramento del problema. Poiché le regioni più ricche di biodiversità sono quelle dove i popoli indigeni sono riusciti a vivere fino ad oggi, saranno proprio quelle le prime aree prese di mira dall’industria della conservazione. Ci troveremo di fronte al più grande accaparramento di terra della storia, che ridurrà centinaia di milioni di persone a vivere in povertà senza terra – e tutto nel nome della conservazione. Raramente la creazione delle Aree Protette è stata realizzata con il consenso delle comunità indigene coinvolte o nel rispetto dei loro diritti umani. E nulla oggi fa pensare che in futuro sarà diverso. È probabile che aumentare le Aree Protette finirà con l’aumentare la militarizzazione e le violazioni dei diritti umani.

L’idea di una “conservazione fortezza” – ovvero di dover rimuovere i locali dalle loro terre per poter proteggere la natura – è coloniale. È dannosa per l’ambiente ed è fondata su idee ecofasciste e razziste che, discriminando le persone, decidono quali contano di più e quali invece valgono meno e possono quindi essere sfrattate e impoverite, attaccate o uccise.

L’industria della conservazione sta anche cercando di garantirsi 140 miliardi di dollari l’anno per finanziare questo suo land grabbing.

Cosa proponiamo?

Rispettare i diritti dei popoli indigeni.

Se vogliamo seriamente frenare la perdita di biodiversità, il metodo meglio collaudato e più economico è quello di sostenere il più possibile le terre indigene. L’80% della biodiversità del pianeta si trova già lì.

Per le tribù, per la natura e per tutta l’umanità. #BigGreenLie

Altre informazioni:

Per ulteriori informazioni e materiali, contattare l'ufficio stampa all'indirizzo [email protected]

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