Annatto: dalle pitture corporali degli Indiani amazzonici al popcorn
La pianta che dà a molti prodotti la loro tipica colorazione rossa o gialla è una scoperta degli Indiani amazzonici – un altro regalo dei popoli indigeni all’umanità.
A prima vista, non sembrerebbe esserci nessun legame tra gli Indiani incontattati nella foresta pluviale del Brasile nord occidentale, formaggi come il Cheddar inglese o il Maroilles francese, il rossetto e il popcorn.
Tuttavia, qualcosa che li accomuna tutti esiste ed è un albero dai fiori rosa con le foglie a forma di cuore chiamato “achiote”, indigeno del Sud America. Il suo nome deriva dalla parola nahuatl “achiotl”, ma è noto anche come “aploppas” mentre nella lingua tupi è conosciuto come “urucu”.
I semi rossastri della pianta sono contenuti in capsule ricoperte di spine e producono un pigmento comunemente noto come annatto, utilizzato dagli Indiani in molti modi diversi. Si pensa che gli Aztechi li aggiungessero al cioccolato bevuto dai sacerdoti; oggi i Tsáchila dell’Ecuador li usano per tingersi i capelli e gli Zo’é del Brasile per decorare i loro corpi. Molte tribù adoperano l’annatto come tintura tessile e come spezia alimentare.
Gli Indiani sudamericani utilizzano l’annatto anche come medicinale: come afrodisiaco e digestivo, come protezione solare o repellente per gli insetti. I guaritori dell’Amazzonia peruviana spremono il succo delle foglie verdi per curare le infezioni agli occhi.
L’annatto è divenuto il colorante naturale più famoso al mondo, dopo il caramello, solo negli ultimi anni. Quando i semi vengono schiacciati e inzuppati nell’acqua, producono una pasta giallo-arancio oppure rossa, utilizzata per tingere di giallo il Cheddar e il Maroilles, per dare la sfumatura arancione a certi oli da insalata e al popcorn, e dare ai rossetti la loro intensa colorazione rossa. Viene utilizzato anche come additivo dello zafferano e per trattare l’ipercolesterolemia, la calvizie e l’ipertensione.
L’annatto è uno dei tanti regali che i popoli tribali hanno fatto all’umanità, e testimonia la loro enciclopedica conoscenza dei loro ecosistemi.
[Traduzione di Elena Pozzi.]